L’immagine culturale
dell’anziano
L’immagine esterna e l’immagine
interna secondo Simone de Beauvoir
Da cellula economica a risorsa per la comunità
Invecchiare: il percorso dell’incertezza
La ricerca del benessere quale tensione alla distanza minima
Stereotipi e pregiudizi
L’immagine della vecchiaia: un esplorazione senza confini
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Uno
dei motivi che mi hanno spinto a trattare questo argomento, al fine di
riflettere sulla condizione anziana in generale, è il fatto che la mia
esperienza personale, sul lavoro e nel tempo libero, mi mette in contatto
con una certa fascia di anziani, quelli in difficoltà, non autosufficienti,
malati, che si avvicinano più o meno velocemente alla morte. Mi rendo conto
che in me è sottile la tentazione di estendere a tutti gli anziani ciò che
soltanto una parte di essi mi trasmette. In questo senso io dovrei essere la
prima a confermare l’opinione comune che la vecchiaia in fondo è una triste
condizione, anzi il periodo più brutto e inutile della vita, in cui i
progetti non hanno possibilità di realizzazione, i sogni non hanno un senso
e la speranza è solo un’illusione. Per superare questa tentazione, desidero
con il presente lavoro anzitutto cercare delle risposte per me. E vorrei
farlo valorizzando gli aspetti positivi, i valori esistenziali che gli
anziani mi trasmettono in quanto esperti di vita. È risaputo che quando
della vita si intravede la fine, il valore percepito del tempo che rimane
aumenta esponenzialmente: è come se lo scorrere del tempo cambiasse ritmo,
in modo che anche le piccole cose acquistano importanza.
Accanto a questo, un secondo stimolo al presente lavoro di esplorazione e
riflessione mi è venuto dal desiderio, maturato in questi anni di studio, di
approfondire il rapporto che intercorre tra l’educazione degli adulti e
quella degli anziani, e tra quest’ultima e la didattica. L’educazione
dell’adulto e dell’anziano è una scoperta piuttosto recente, tanto è vero
che non disponiamo ancora di teorie psicologiche che, in modo convincente,
siano riuscite a spiegare i processi di maturazione e di crescita autonomi,
indipendenti dagli stadi precedenti della vita, quali la fanciullezza, la
giovinezza ecc. Quindi si vanno ora affermando teorie dello sviluppo nuove e
più adeguate alla riflessione attuale, e tutto ciò si traduce in una teoria
della pratica educativa con gli anziani, o per lo meno in indicazioni di
massima, che si possono utilizzare nella relazione educativa che, seppur
sempre nuova e inedita, come sempre originali e uniche sono le persone che
si avvicinano al professionista, presenta dei tratti comuni, delle
problematiche a cui con una pratica riflessiva si tenta di dare una risposta
soddisfacente.
Il compito della didattica dovrebbe essere quello di fare da cerniera tra
teoria e prassi, alimentandosi di entrambe, permettendo ad entrambe, quasi
in un gioco di vasi comunicanti, di arricchirsi, senza trattenere nulla per
sé. La riflessione ha senso se indirizza l’azione; l’azione a sua volta
permette e stimola il progresso della riflessione; all’interno di questo
gioco si situa la didattica.
Partendo da queste premesse presento una tesi in didattica che si compone di
riflessioni teoriche, frutto di lettura critica delle fonti bibliografiche
(non molte, in verità!), ma che si sviluppano sulla base dell’esperienza,
del mio contatto diretto con gli anziani. Tutto ciò che viene detto non ha
senso, secondo me, se non in vista dell’evoluzione di un rapporto
professionale, ma non solo; allo stesso modo tutto ciò che viene fatto deve
continuare a suscitare riflessioni personali, che ci permettano di alzare lo
sguardo, di allargare gli orizzonti e di comprendere il nostro agire e il
nostro pensare in una visione di largo respiro. Questo è necessario
soprattutto in riferimento alla vecchiaia, perché forti sono le influenze di
un sentire negativo, di uno stereotipo perdente che determina un
atteggiamento arrendevole, pavido e pessimistico negli operatori
professionali, negli anziani stessi e nella società nel suo complesso.
Oggi la vecchiaia con tutta la sua complessità ha una maggiore visibilità
sociale. A questo proposito Sergio Tramma, autore che da anni si occupa di
anziani nell’ambito di educazione degli adulti, fa notare come la vecchiaia
sia uscita dalla clandestinità, dopo un lungo periodo in cui è stata oggetto
di studio e riflessione soltanto da parte degli esperti . Il motivo
principale va ricercato nella tendenza all’invecchiamento della popolazione
che i dati statistici rilevano da ormai mezzo secolo, invecchiamento tale da
far affermare con sicurezza alla Molinatto che “le società occidentali a
venire saranno mondi abitati da vecchi” . Nonostante la vecchiaia stessa sia
ritenuta un indicatore della qualità della vita di un’intera società ,
alcuni autori trattano il fenomeno dell’aumento degli anziani come un
problema per il quale cercare soluzioni. Ne parla per esempio Danilo Giori
che titola il paragrafo sull’argomento “La dimensione quantitativa del
problema in Italia” . A mio avviso il problema principale non è tanto dovuto
all’aumento del numero degli anziani nella nostra società, quanto alla
mancata elaborazione culturale di questo fenomeno; gli anziani in fondo
spaventano perché ne conserviamo un’immagine negativa, perdente, che non è
fedele alla realtà. Ecco emergere allora la necessità di una riflessione,
che cercherò di abbozzare nei primi capitoli di questo lavoro; ma ancora più
che una riflessione emerge la necessità di una pratica con gli anziani, una
pratica educativa che conduca alla naturalezza del rapporto, che permetta di
instaurare relazioni in cui l’arricchimento umano e la soddisfazione siano
reciproche e condivise.
Concorda con questa impostazione Mary Marshall, la quale rivolgendosi agli
assistenti sociali afferma che l’aumento del numero degli anziani più che un
problema “può fornire l’occasione di lavorare con un gruppo di adulti
eccezionalmente interessante: quelli che si sono adattati a un enorme
cambiamento, che hanno fatto i conti con il totale sconvolgimento delle loro
esistenze. Queste persone possono aver bisogno unicamente di un piccolo
aiuto per continuare un’esistenza che, per la maggior parte di loro, è
serena e che sperano continui a esserlo” . Le riflessioni dell’autrice
lasciano intravedere l’apertura di un orizzonte ampio e variegato nel
rapporto con le persone anziane. Quindi sì alla valorizzazione del lavoro
sociale con gli anziani, sì alla promozione delle pratiche educative, ma il
problema è: dove inserire queste pratiche educative? qual è il contesto, se
ne esiste uno specifico, dove andare a cercare gli interventi educativi con
persone anziane? Questa domanda è d’obbligo se è vero, come afferma Duccio
Demetrio, che “le condizioni dell’educazione non sono né alla portata di
tutti, né costituiscono un’esperienza ricorrente nella quale ci imbattiamo
per il fatto stesso che viviamo. Educazione e vita non coincidono
meccanicamente, nel senso che l’una è intrinseca all’altra e viceversa” .
Ciò non significa che è educativo solo ciò che vuole esserlo, ovvero che un
progetto educativo raggiunge sempre tali obiettivi, ma significa che gli
effetti educativi di un’azione non sono scontati e non esistono se non
vengono esplicitati da una riflessione dei protagonisti, soprattutto nel
caso degli adulti e degli anziani.
Nel terzo capitolo presento schematicamente gli interventi rivolti agli
anziani: interventi delle politiche sociali e dei servizi. In tale contesto
viene circoscritta un’area caratterizzata da azioni con obiettivo primario
di tipo ricreativo e socio-culturale. Questa operazione convenzionale,
nell’intenzione, vorrebbe individuare un contesto o area-contenitore, in cui
collocare le azioni con finalità educative e formative, distinguendole
nettamente da interventi e servizi di carattere sanitario e assistenziale.
In realtà operare questa distinzione non è così facile per diversi motivi.
Anzitutto è possibile a mio avviso soltanto in teoria; infatti anche in
attività svolte a scopo sanitario si esplicitano obiettivi educativi, così
come in attività educative può coesistere l’aspetto sanitario, di
prevenzione per esempio. Parliamo quindi di un’area educativo-ricreativa, in
quanto contenitore di azioni educative, ricreative o culturali che siano,
non tanto di servizi strutturati appositamente. In questo contesto, anche
volendomi fermare alla pura teoria, ho incontrato difficoltà per la mancanza
di un impianto organico di riflessione attorno a questi temi e quindi di un
quadro teorico preciso e condiviso, in grado di fornire i criteri di
selezione. Tutto ciò rende quest’area un territorio dai confini sfumati e
definito piuttosto dal “non essere”, nel senso che vi rientrano quelle
azioni che non sono sanitarie, non sono assistenziali, ecc.
Una caratteristica di quest’area, che diviene il campo di osservazione del
fenomeno educativo della vecchiaia, a mio avviso, è che ad essa vi
collaborano, vi interagiscono diverse discipline, in parte complementari.
Esse sono: l’educazione degli adulti, la didattica con la sua riflessione su
problematiche di tipo pratico, e l’animazione, con le sue tecniche e
metodologie. Il rapporto tra queste discipline, è di collaborazione e
sostegno. Esse pur collocandosi su livelli diversi, si compenetrano e
completano a vicenda, in una sequenza ciclica, simile al rapporto che
intercorre tra la teoria e la pratica in generale. Bisogna dire che
specialmente in questo campo le distinzioni e i confini netti sminuirebbero
la capacità di riflessione di un argomento che in fin dei conti si riconduce
alla ricchezza umana della vita in tutte le sue espressioni e in tutte le
sue fasi.
Cerchiamo ora di definire con l’aiuto di Sergio Tramma quest’area di
interventi composita e con scarsa regolamentazione di accesso e di ordine
interno. Essa comprende sia “progetti e attività rivolte agli anziani con il
chiaro intento di favorire una vecchiaia non emarginata, inserita nella
comunità di appartenenza, e che comprende anche strategie finalizzate ai non
anziani”, da parte dei quali si vorrebbe ottenere una valutazione più
realistica e meno negativa della vecchiaia; sia “comprende interventi tesi a
orientare l’educazione degli anziani verso la creatività”; sia ancora
“interventi volti a preparare gli adulti ad affrontare il momento in cui si
distaccheranno dal lavoro” . Nella dichiarazione di intenti questi
interventi in linea generale si strutturano attorno al tempo libero degli
anziani, impiegandolo in attività ludico-ricreative, oppure in attività che
stimolino la crescita culturale e civile e lo sviluppo della socialità, o
ancora che promuovano l’impegno degli anziani verso attività socialmente
utili di volontariato, o attività occupazionali in grado di valorizzare la
professionalità acquisita in precedenza. La mia tesi non si colloca
precisamente in un’area di intervento, ma allo stesso tempo spazia sui
contenuti di tutte, raggiunge in modo trasversale un po’ tutti gli ambiti di
riflessione e di intervento sulla vecchiaia e lo fa attraverso uno sguardo
pedagogico ampio, che apre a domande sempre nuove, che invita a rivedere
cliché mentali e comportamentali radicati nella nostra cultura.
Nel quarto capitolo all’interno delle coordinate della vecchiaia inserisco
alcune problematiche che sono sentite in modo particolare dagli anziani. Non
che la solitudine o l’isolamento sociale e gli altri problemi già
individuati siano condizioni problematiche solo per gli anziani, tutt’altro,
ma se vissute dagli anziani presentano delle caratteristiche particolari, su
cui diviene importante soffermarsi anche per le conseguenze che esse hanno
sulle comunità locali in termini di immagine e di rapporto con la vecchiaia
nel suo complesso. Di seguito ho cercato di proporre alcuni ambiti di
intervento significativi per la vecchiaia con pieno diritto di cittadinanza
nella nostra società. Questo per onorare il principio didattico espresso
sopra secondo cui non ha senso parlare di problemi o di situazioni negative
se la discussione non ha dei risvolti di indirizzo pratico.
Il lavoro nel suo complesso è un tentativo di unire in un'unica trattazione
gli anziani, che sono i protagonisti a tutti gli effetti, la loro
educabilità, di cui metto in evidenza le basi e i princìpi, e il metodo
autobiografico, che mi propongo di dimostrare essere un valido presidio per
tale fine. Questo metodo può essere proposto sia direttamente agli anziani
sia agli educatori che con essi lavorano. Così dopo il quinto capitolo che
cerca di fissare i criteri generali per una pratica educativa rivolta alle
persone anziane, sviluppo il capitolo conclusivo sul metodo autobiografico.
La posizione conclusiva di questo capitolo sottolinea, a mio avviso,
l’invito a proseguire la riflessione, a porsi nuove domande, ad aprire nuovi
orizzonti. Il metodo autobiografico in fondo non fa altro che ricondurre il
protagonista narratore, che può essere ognuno di noi, a guardarsi dentro, a
riscoprirsi attore principale della propria formazione, a recuperare le
proprie risorse, a volte assopite perché travolte dagli eventi, e, forte di
queste rinnovate energie, aprirsi all’incontro con gli altri, giovani,
adulti, anziani, nostri compagni di viaggio.
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