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Il ruolo attribuito al fattore economico rientra in un dibattito attuale
sulle politiche sociali verso gli anziani. Secondo Paola Molinatto tra gli
“sguardi” che presidiano le politiche e accompagnano il lavoro sociale e le
pratiche con gli anziani, rilevante è lo sguardo economico. Esso ci
restituisce due immagini speculari dell’anziano: colui che drena la
ricchezza pubblica, sia percependo contributi previdenziali, sia consumando
farmaci, prestazioni specialistiche e/o ospedaliere; e l'anziano nuovo
soggetto di consumo. L'anziano quale motore del consumo è il frequentatore
di mostre e musei, l'appassionato di viaggi, il neopensionato che coltiva i
suoi hobbies. È un anziano attivo, un anziano “risorsa”, che ha
caratteristiche molto simili a quelle dell'anziano consumatore. Ne
rappresenta il volto meno individualista e più solidale. È l'anziano
volontario, propositivo, attivo e associato. È una figura da sostenere e da
valorizzare. Nella ricostruzione della genesi dello sguardo economico
l’autrice si rifà all’opera di Georges Bataille . Questi afferma che la
nozione di dispendio, così come quella di eccedenza, ha una valenza
anzitutto antropologica e ci permette di distinguere due tipi di società: le
economie del dono, in cui l'attività umana è finalizzata al dispendio, e le
società capitalistiche, dove è dotato di senso tutto ciò che è finalizzato
alla produzione di ricchezza. Ciò che non è utile è relegato all'ambito del
privato. Esperienze quali il ridere, il fumare, il morire non trovano
legittimazione nell’ordine dei valori del capitalismo in senso stretto. Così
anche l'invecchiare è mal tollerato. È vero che sentirsi utili fa bene,
perché fa stare dentro quell'intreccio di relazioni che è la vita. C'è però
il rischio che, una volta estromessa dal circolo della produzione e
dell'utilità, l'anzianità comporti quasi automaticamente l'immissione in un
circolo di esclusione/invalidazione/dipendenza. Seguendo le tesi di Bataille,
bisogna ripensare alcune questioni di fondo che inevitabilmente interrogano
il lavoro sociale con gli anziani. La prima riguarda il tema della
cittadinanza: non è privo di ambiguità stabilire una correlazione tra
cittadinanza e utilità. Essere cittadini significa prendere parte al dialogo
della società, ma è anche un diritto esigibile da tutti, privo di
condizioni. Quindi parlare di anziano “risorsa” ha i suoi limiti e le sue
ambiguità. La seconda questione è di natura filosofica, ha a che fare con il
modo in cui concepiamo la vita. E se la vecchiaia, soprattutto quella
estrema, fosse quell'eccedenza e quel sovrappiù che incessantemente la vita
produce? E se il senso non attenesse al registro dell'utile, bensì a quello
della perdita e del superfluo? Potremmo allora pensare di vivere l'anzianità
come un'età gloriosa, affine ai comportamenti della società del dono.
Mi sembrano rilevanti questo approccio e queste riflessioni sull’opera di
Bataille, perché recuperano e approfondiscono il fattore economico quale
determinante dell’immagine culturale, ma allo stesso tempo propongono un
superamento di questa dimensione. Lasciano quasi intendere che il valore di
una vita al suo termine non si comprende in chiave economica, anzi quest’ultima
interpretazione risulterebbe riduttiva, perché non può tenere in conto la
dimensione della gratuità, del superfluo, dell’eccedenza, termini che
paradossalmente si riconducono alla ricchezza. Così quasi per incanto siamo
condotti attraverso un percorso riflessivo che prende le mosse dall’immagine
dell’anziano caratterizzato dalla dimensione della perdita, della rinuncia e
quindi di povertà, per giungere ad apprezzare nel vecchio non
autosufficiente, dipendente dagli altri, la dimensione della ricchezza di
vita, dell’eccedenza, del sovrappiù di vita, segni di una civiltà e di una
cultura avanzata, progredita.
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