Home | Cantarutti | Fred Hageneder | Winnie | Cuore di fata

Winnie the Pooh
ma non solo...

 

 

Erano anni che ci giravo attorno, pensa e ripensa, ci giravo attorno senza concludere nulla. Ci voleva forse una giornata di questa strana annata, di questa parvenza d’inverno, sarà stata l’aria frizzantina di marzo, in cui si mescolano sole e neve, ed eccomi qua a scrivere; sto per invocare le mie muse e sono sul punto di elencare tutti gli autori per ragazzi dalla A alla Z, col timore di dimenticarne anche uno solo; ma ecco, è nella profondità dei vostri occhi limpidi di bimbi, spalancati sul fantastico mondo dei libri, che trovo tutta l’ispirazione, la forza, la poetica incoscienza, e specchiandomi in essi vedo tutto ciò che voglio dire.
La mia, in fondo, è la storia al rovescio di Sherazade che guadagnava una notte in più di vita incantando il sultano fiaba dopo fiaba: non posso smettere di narrare, se interrompessi il gioco della narrazione, mi esaurirei come l’ultimo fiammifero nelle mani intirizzite della Piccola fiammiferaia o sarebbe di me ciò che è stato del Piccolo Principe: “Un guizzo e via!”.
Siamo partiti con Winnie the Pooh, ricordi?, per il nostro lungo viaggio, il nostro tappeto volante, la pagina di un libro, un foglio bianco punteggiato da tanti misteriosissimi segni neri – le lettere – che ancora riconosci a stento ma che insegui divertito e curioso.
E asciugandomi le lacrime, hai scoperto che anche le mamme piangono, a volte, e in quel buco nero in cui mi vado a cacciare non ci sono libri a consolare e nemmeno valgono le carezze di un bambino…
Perché piangi? - Mi chiedi incalzante. Perché mi affaccio su un pozzo senza luna e vi precipito, proprio come Alice precipita nel buco, infilandosi nella tana del coniglio, per scoprire infine il Paese delle meraviglie. Io invece, non approdo a nulla, resto piuttosto a precipitare.

Siete arrivati tu e Karim a cacciare la malinconia con la vostra energia: e la vita, per fortuna, fa anche di questi regali. Mentre ero bloccata dolorante per le conseguenze di un brutto incidente – era il 2006 - in quel periodo scoprivate Peter Pan ed allora il papà correva a trattenerti quando la sera spalancavi la finestra della camera, ti ci arrampicavi, convinto che di lì a momenti sarebbe entrato Peter, e quando tu e Pippi, scatenati bimbi dell’Isola che non c’è, mi saltavate addosso e, assegnandomi la parte di Capitan Uncino, ingaggiavate una formidabile battaglia a colpi di cuscini. In quegli stessi giorni ti immergevi negli abissi attaccato alla coda della Sirenetta, penetravi nella grotta con Aladino alla ricerca della lampada magica, ti facevi inghiottire dalla balena come Pinocchio.

A Winnnie the Pooh sei tornato tante volte, contagiando col tuo entusiasmo anche il fratellino.
Rimbalzando da una pagina all’altra come Tigro o saltellando come il canguro Roh, le tenere avventure dell’orsetto sciocco e goloso deliziavano i vostri pomeriggi invernali e se Pippi si immedesimava nell’orsetto pasticcione che si arrampica sugli alberi alla caccia di miele, tu eri sempre Cristopher Robin, il bimbo saggio e leale che vive insieme ai suoi amici animali nel Bosco dei Cento Acri.
Rimani affascinato dalla descrizione della battaglia che infuria nel campo della segheria in Via Paal.
Bruci per la febbre dell’azione.
Ti indigni per il tradimento dei compagni.
Ti accendi d’entusiasmo per la vittoria dell’esercito di Boka.
Ti commuovi per il soldatino Nemecsek.
Finalmente, placato l’animo, quando ho terminato di leggere il capitolo, esclami “Io lo so come uccidere i cattivi!” E’ vero, i racconti che, con l’ingenuità dei tuoi sei anni, finora hai ascoltato, raccontano che le streghe malefiche si gettano nel fuoco, si sciolgono nell’acqua, si trafiggono con la spada, che il male è sempre sconfitto dal bene, dalla bellezza, dalla bontà.
Ma quando sarai più grande - basterà un poco così – e ti leggerai da solo Molnar, scoprirai che I ragazzi della Via Paal è uno straordinario romanzo sulla lealtà, sul coraggio dell’individuo che si sacrifica per il gruppo in nome di quel magnifico valore che si chiama amicizia. E riconoscerai nel gesto del capitano della squadra avversaria tutto il valore della sconfitta. Capirai che non esistono nemici, che sono stati gli uomini a porre il netto confine tra il bene e il male e che tutto dipende…

Vorrei che tu apprendessi l’arte del dialogo, del confronto dialettico. Scorre nelle tue vene il sangue fiero ed orgoglioso di un popolo che si ribella all’oppressione ed all’ingiustizia, ma vorrei che in te trionfasse la ragione. Come poterti spiegare la guerra? Come parlarti del dolore? Mi soccorrono ancora una volta i libri:
E vado a pescarne due fra tanti:
Perché? di Nikolai Popov e La guerra delle campane di Gianni Rodari.

A proposito di streghe: lo sai bene che la Biblioteca è un luogo popolato da un sacco di streghe… Accanto alla strega Settimia, c’è Grimilde Sibilla e Domitilla. Per una strega che cade nel pentolone di acqua bollente, ce ne sono almeno altre tre che si portano a spasso gatti neri da trasformare in felini multicolori.
E che dire delle fate? La prima in cui vi siete imbattuti tu e Pippi è Campanellino, l’inseparabile amica di Peter Pan. Che passione avete per la fatina dorata che scuotendosi sprizza intorno polvere magica! Allora vi tuffate nelle fiabe all’inseguimento di creature magiche, dalla Bella addormentata nel bosco a Cenerentola.
Esaurite tutte le fiabe a me note, penso a Novella Cantarutti e ti ho letto anche un racconto, Le fate, tratto dai Racconti popolari avianesi, la raccolta compilata da Appi a cura della Società Filologica Friulana.

Insieme a Fulvia qualche tempo prima avevo scritto il racconto Cuore di fata; l’occasione o piuttosto il pretesto ce lo aveva offerto il concorso letterario bandito dall’allora Azienda di promozione turistica di Aviano-Piancavallo, nel 2004.
Pippi aveva cinque mesi e me lo trasportavo su e giù per Barcis dove, in riva al lago, io e Fulvia cercavamo l’ispirazione. Ma la vera inspirazione ce la dava proprio il piccolo, con quel suo sguardo lungo ed interrogativo. E ne scaturì una ninna nanna per Karim.
Il tuo sguardo si posa delicato su un fagottino che si muove, anche tu eri così, e così era il tuo fratellino. Appena nati, eravate due pulcini usciti dall’uovo, due uccellini adagiati nel nido, avvolti nelle calde piume sotto l’ala della mamma, corpicino umido, occhi ancora serrati, becco spalancato. E la sera, stringendoti al mio fianco sotto le coperte arrivava puntuale la domanda “ Sono uscito anch’io da un uovo tutto bianco?”

A ripescare nella memoria quale sia stato il primo libro che ti lessi, tra Andersen e la Mille e una notte, senza dubbio il primo posto lo occupano i lirici greci, Alceo in particolare, che nella traduzione di Quasimodo ti leggevo come una ninna nanna, uno fra tutti, la Conchiglia marina, dove trasponevo la conchiglia con il libro capace di coinvolgere tutti i sensi umani.
La parola detta con assoluta perfezione e disarmante semplicità, raggiunge un equilibrio perfetto in cui non vi è spazio per altro e l’aggiunta o la sottrazione di una sola virgola ne spezzerebbe l’incanto.
Il libro sollecita la vista: questo oggetto di consueto formato rettangolare, tante pagine bianche punteggiate di caratteri neri, riempie gli occhi e le illustrazioni che lo commentano, lo precisano.
Sollecita l’udito per il suono delle pagine sfogliate nell’assoluto silenzio della stanza e poi, se lo spalanchi, sprigioni le voci dei personaggi che lo abitano: accosta l’orecchio, trattieni il respiro, lascia che i suoni lo invadano e sentirai risuonare il cuore.
Ti inonda con il suo odore, con i profumi che si espandono. I libri regalano la fragranza di un mattino in laguna, l’aria frizzante d’alta quota, lo stordimento di odori che invadono le strette vie della città portuali, e che dire di quel senso di fresco che solletica il naso e penetra nelle narici…
E’ un piacere al tatto: un libro va tenuto in mano, va toccato, ci devi passare sopra le dita, lisciarne la copertina, accarezzarne le pagine, allora puoi sentir penetrare nei polpastrelli quel calore magico che sa sprigionare.
Le storie sanno di quel fritto misto di pesce appena pescato, che ti servono nei porti di piccole isole greche al sorprendente sole d’inverno, una fettina di limone ed un calice di vino bianco accanto; sa di fragole inzuppate nella freschissima panna che ti offre il malgaro in Val Settimana, sa di salame cotto servito su un letto di polenta bollente; sa di biscotti fragranti appena sfornati ed un sorbetto ghiacciato alla menta.
Ci sono storie da sgranocchiare, alcune hanno la dolcezza del miele, altre ti pizzicano la lingua con una punta di sapore agro; alcune vanno giù come l’acqua altre si fanno sorseggiare come un the alle rose.

Vorrei tu scoprissi insieme a Dorothy, la protagonista del Mago di Oz, che il terribile Mago altri non è che un imbroglione; vorrei insegnarti a balzar fuori dalle pagine al momento opportuno, spiegarti come non restarne intrappolati cosa che è invece capitata ad una certa Madame Bovary…Vorrei insegnarti a solcare i mari della fantasia ma ad esserne tu il timoniere. Perché le storie sono a volte come ammalianti sirene…
Spalanchi il libro ed entri nella storia, chiudi il libro e rientri nella realtà: il confine deve risultarti ben chiaro; poi, è vero, esiste una zona, una sottile striscia di terra, in cui i due regni si confondono…

Osservi a lungo l’immagine ed infine giunge la domanda: “Ma cos’è?” Non chi, ma appunto cosa è? Non puoi riconoscere in quella creatura priva di gambe e braccia un uomo, non puoi, a sei anni, ragionare sulla diversità.
Allora comincio a leggere il libro: Gesù Betz è la straordinaria storia, scaturita dalla penna di un giovane autore francese, Fred Bernard, che pone al centro della scrittura il tema della diversa abilità e ne costruisce il racconto del piccolo Gesù Betz che, nato tronco, scopre in sé il dono del canto e in questo trova il proprio riscatto umano.
La questione è come raccontartela ed allora lascio perdere, per ora, il testo e leggiamo insieme le illustrazioni di Francois Roca; lascio che sia tu a suggerirmene il commento e così scopro che è solo mio, di adulta, il problema di come spiegarti la diversità, perché nella tua limpidezza l’hai già superata ed eccoti dunque ad ammirare il canto del giovane, quasi ne sentissi la voce espandersi nelle pagine. Resti colpito in particolare dall’immagine che ritrae il giovane legato all’albero maestro della nave: esposto alle sferzate del vento di tempesta, egli reagisce cantando, e tu mi fornisci un’inedita lettura del libro dove a contare non sono la privazione, l’handicap, il non potersi muovere e camminare come le persone normali, ma è la potenza della voce, i coraggio e la fiducia nell’umanità nonostante la difficoltà.

Un mattino di febbraio ti leggo Fiore di neve:

Penso alle vite umane come ad orme sulla neve:
vanno
vengono
fuggono
spariscono…
ma talvolta s’incrociano.
Ecco il senso dell’esistere: se non avvenissero questi momenti di incontro, i nostri giorni affonderebbero nell’assoluta vastità del nulla.
Un fiocco di neve, così vorrei fosse la nostra amicizia: che si posasse sulle nostre vite con leggerezza, senza appesantirne i giorni; che ne possedesse la purezza, perché, se davvero nasce da un’affinità interiore, non potrà che essere portatrice di bene per noi stessi e per gli altri; che avesse fantasia come la natura che ci meraviglia con i suoi ricami di ghiaccio.
La neve, al termine della stagione, si scioglie e penetra nella terra per nutrirne con l’acqua le radici; così un giorno la nostra amicizia potrà assumere una forma diversa per continuare a nutrire i nostri cuori.

Mi ascolti e rimani per un po’ in silenzio, per dichiarare infine che ti piace, “ma - chiedi - di chi si parla?” ed io ti rispondo “di chi è rimasto impigliato come un fiocco di neve tra i rami d’un albero spoglio”. Il suo nome è Cristina ma porta in realtà decine, centinaia di altri nomi che alla fine hanno dovuto soccombere alla malattia.
La morte è una costante delle fiabe classiche, ne è un elemento essenziale, e in molte è la condizione affinché si compia l’azione.
In Biancaneve è la morte – seppur apparente – della protagonista, perché possa ricevere il bacio del principe e risvegliarsi, ed un altro celebre bacio che suscita il risveglio lo si trova nella Bella addormentata nel bosco; e se con ci fosse il lupo mannaro a mangiarsi Cappuccetto rosso non ci sarebbe neanche la fiaba. Nelle fiabe è riflesso un mondo nel quale della morte non si ha paura perché fa parte della vita, ne è naturale risoluzione, ed anzi è necessario elemento di mutamento. Uscendo dal genere della tradizione popolare per entrare in quello della letteratura d’autore si coglie la dominanza della continua trasformazione; per esempio, non è forse una morte continua il trasformarsi di Pinocchio da burattino a bambino? Gli eventi drammatici sono funzionali al narratore per filare all’arcolaio narrativo.

Da quella primavera sono trascorsi due anni; tu leggi ormai speditamente: altri sono i libri sul tuo comodino e altre le storie che dovrei filare al mio arcolaio.
Sei nell’età in cui si scopre che dietro ad ogni Pinocchio ci sta un Lucignolo.
Che le fiabe senza lupi orchi e streghe sarebbero una noia e che non tutte le storie hanno un lieto fine.
Rispolvero dunque edizioni storiche dei romanzi che mi hanno accompagnato nel passaggio dalla prima infanzia alle scuole elementari, e penso che senza quelle letture forse non sarei tanto cresciuta.