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     Quando l’ultimo 
	raggio di sole indugia tra le cime lontane, nel prato ormai velato 
	dall’ombra un timido fiore scuote la sua veste brumosa e, schiudendo i suoi 
	petali bianchi, espande intorno un delicato profumo. E’ allora che, se 
	raccogli la sua piccola ampolla e la schiacci sulla tua mano, potrai 
	cogliere il battito di un cuore.  
	Questa è la leggenda che narra il sogno della Fata Bambina e di come donò il 
	suo cuore a Madre Natura. 
	 
	La Fata Bambina non aveva parola: sfilava i pensieri come i petali da una 
	corolla e li faceva vibrare, tendendosi come uno stelo sottile.  
	Nel nido di Fate si confondeva tra le sorelle, maestose e altere nel loro 
	splendore. Lei, timida e modesta, con la sua veste del colore di un’algida 
	alba brumosa, sembrava un grigio fiore in un prato trapuntato di accesi 
	colori. Ma non appena sfumava la luce del giorno, la piccola Fata scuoteva 
	la veste e spargeva un delicato profumo: attratte, le falene notturne le 
	danzavano intorno in attesa del tramonto del sole.  
	 
	Anche allora, dopo una lunga giornata trascorsa tra giochi spensierati, 
	giunse il momento di riposarsi. Si scelse come giaciglio una ragnatela 
	impigliata tra due rami di un larice, vi si arrampicò e si lasciò dondolare, 
	abbandonandosi presto al sonno.  
	Dormiva, la Fata Bambina, dolcemente riposava nella sua culla di fili 
	sottili, un ricamo d’argento tessuto da un ragno operoso e paziente in una 
	chiara sera di giugno. Non un rumore: la natura tutta tratteneva il respiro 
	per non svegliare la sua Creatura. Solo il battito del suo piccolo cuore 
	ritmava la vita notturna del bosco. 
	 
	Sognava, la Fata Bambina, e appendeva i suoi sogni ai fili intrecciati della 
	sua cuna.  
	Immaginava di lasciarsi scivolare dal cielo lungo un raggio di luna e cadere 
	sul soffice tappeto d’erba, quasi un gioco che un giorno aveva visto fare da 
	bambini, mentre sbirciava nascosta nella corolla di un fiore. 
	Ripeteva quel salto ed ogni volta era un trillo di gioia, un fremere d’ali, 
	e riprendeva la corsa, al battito delle mani delle sue sorelle accorse alle 
	grida felici. Tendeva le mani all’astro lucente che accoglieva tra le 
	braccia la piccola amica affinché ripetesse quel gioco innocente. Le 
	danzavano intorno le lucciole e si posavano, come timidi baci di luce, sui 
	capelli arruffati.  
	 
	Nel cadere la terza volta, affondò il viso nell’umida erba, ne aspirò la 
	fragranza, ne gustò il fresco sapore e, perdendosi nel cuore verde della 
	terra, se ne lasciò inebriare. 
	Alzò infine il capo e s’accorse d’essere rimasta da sola: rotolandosi sul 
	prato, s’era allontanata dalle sorelle. Levò allora lo sguardo smarrito alla 
	luna a cercarne il conforto, ma fu respinta dal suo improvviso pallore. 
	 
	Era calata la notte: il silenzio era ora spezzato soltanto dal battito del 
	suo cuore spaurito e risuonava nel bosco tutta l’angoscia della Fata 
	smarrita. 
	Gli alberi allungavano le loro lunghe braccia quasi a ghermirla in un 
	abbraccio spettrale. 
	Il bosco in cui viveva da sempre era avvolto da ombre scure e neppure il 
	larice, sua dimora e rifugio, che le era stato affidato da Madre Natura, non 
	la riconosceva più. Iniziò a correre tagliando il sentiero, scendeva i 
	pendii senza voltarsi, col timore d’essere da un momento all’altro afferrata 
	dai neri artigli della notte.  
	 
	Persa nel suo sogno con i piedi leggeri saltava arbusti e calpestava spini, 
	finché non giunse al torrente che segnava il confine col mondo di quelle 
	creature che si diceva non sapessero più sognare né credere al regno segreto 
	del bosco. 
	Si fermò ad osservare le sagome scure delle case ancora immerse nel sonno, 
	udiva lo sciacquio dell’acqua mossa dalla ruota di un vicino mulino. Esitava 
	ad oltrepassare la soglia, rammentava la raccomandazione delle sorelle 
	maggiori, di non varcare i confini segnati da Madre Natura, e i racconti 
	della triste sorte capitata a chi non aveva voluto ascoltare. 
	 
	S’imprigionò un filo di luce nei capelli di rame della Fata Bambina, l’alba 
	bussava ormai alle porte del cielo. 
	Si chinò per rinfrescarsi nell’acqua che scorreva ai suoi piedi e fu allora 
	che vide il riflesso di un’immagine che era forse rimasta imprigionata tra 
	le pale del mulino e poi magicamente trasportata dal torrente che 
	s’increspava e schiumava tra i sassi .  
	 
	Fu un attimo! Il suo sguardo incrociò due occhi ridenti e i suoi occhi 
	smarriti furon riempiti di luce. Presa dallo stupore, sbatté le palpebre e 
	intravide un bambino dormire con un grande sorriso sul volto. Sognava, 
	forse, quel bimbo, della Fata Bambina con la veste del colore di un’algida 
	alba brumosa, che, mentre dormiva in una culla dal ricamo d’argento, si 
	lasciava scivolare dolcemente dal cielo lungo un raggio di luna. 
	 
	In un battito d’ali, il cuore della Fata si riempì di una gioia mai fino ad 
	allora provata, ed iniziò a battere, a battere sempre più forte. 
	La luce di quel sorriso cacciò le ombre che avvolgevano il bosco e fece 
	risplendere il larice, dimora e rifugio della Fata Bambina. 
	 
	Sopraffatta da quel sentimento, il cuore illuminato dal sorriso di un bimbo, 
	la Creatura fatata si accasciò sull’umido tappeto di fresca rugiada, sfilò 
	un ultimo pensiero e lo fece a lungo vibrare: ebbe il desiderio di 
	conservare quel sentimento, e perché non andasse perduto, espanderlo e 
	trasmetterlo intorno. Si piegò dunque su se stessa, raccolse la veste ad 
	ampolla e abbandonò lievemente il suo cuore tra le braccia di Madre Natura. 
	 
	Quando già l’Aurora inondava di luce la terra, il prato apparve cosparso di 
	piccoli fiori a forma di ampolla dal colore di un’algida alba brumosa 
	ingentilita da cinque petali bianchi e sorretta da un esile stelo. 
	Ogni volta che un bimbo si diverte per gioco a far schioccare una Silene, si 
	rinnova quel sentimento di gratitudine provato dalla Fata Bambina.  
	 
	Ascolta in silenzio, trattieni il respiro: è il battito di un cuore di fata. 
	 
	 
	SILENE VULGARIS 
	 
	È il suo nome scientifico. Forse ti è più facile riconoscerla  
	se ti dico il nome dialettale: 
	grìsol – erbéte – fava cornìgia – s’ciopetìna – s’ciopéte. 
	Nel tuo paese potrebbe avere un altro nome, 
	scrivilo qui______________ 
	 
	Le sue FOGLIE sono lanceolate di un verde bluastro. 
	In primavera le puoi raccogliere e dopo averle lessate, 
	gustarle cucinandole con burro e cipolla o nelle frittate. 
	Speciali anche per il risotto. 
	 
	Il suo FIORE è particolare. 
	 
	Ha il CALICE rigonfio. 
	Lo guardo e mi viene in mente 
	un palloncino, un’ampolla, un otre, e a te? 
	Solo pennellate d’ acquerello ti potranno 
	dare le mille sfumature del suo colore. 
	 
	Ho imparato un GIOCO dalla nonna.  
	Raccogli l’ampollina prima che ti mostri la sua corolla 
	e schiacciala sulla mano o sulla fronte. 
	Sentirai uno schiocco. 
	Ecco perché si chiama s’ciopetina. 
	 
	Lo STELO è sottile e ramificato 
	 
	I suoi PETALI sono bianchi e profondamente divisi. 
	Fiorisce da giugno ad agosto nei prati 
	di montagna e di pianura. 
	 
	Racconto di 
	Margherita Venturelli e Fulvia De Damiani  |