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Schopenhauer


Arthur Schopenhauer nasce a Danzica il 22 febbraio 1788, da un ricco commerciante e da una scrittrice di romanzi. Alla morte del padre, nel 1805, gli succede per breve tempo nell'attività commerciale, ma poi decide di dedicarsi agli studi di molteplici discipline (medicina, scienze naturali, letteratura, storia e filosofia). Infine si laurea in filosofia, all'Università di Jena, con la tesi "Sulla quadruplice radice del principio di ragion sufficiente" (1813). Nel dicembre del 1818 pubblica "Il mondo come volontà e rappresentazione", la sua opera più conosciuta. Muore a Francoforte sul Meno il 21 settembre 1861.

Con il termine pessimismo è definita ogni dottrina filosofica basata sulla teoria della costante prevalenza del male sul bene. Anche per Schopenhauer si può parlare di pessimismo, in quanto il filosofo sostiene che la vita non è altro che dolore, lotta ed incertezza. Egli afferma che l’essere è la manifestazione di una volontà infinita, cioè un impulso irresistibile che ci spinge ad esistere e ad agire, che lui chiama Volontà di vivere. Volere significa desiderare e desiderare significa trovarsi in uno stato di tensione per la mancanza di qualcosa che non si ha. Il desiderio è quindi assenza, vuoto, indigenza: ossia dolore. E poiché l’uomo è destinato a soffrire maggiormente, rispetto a tutti gli altri enti, per l’insoddisfazione del desiderio e le offese dei mali, risulta il più bisognoso e mancante degli esseri, condannato a non trovare mai un appagamento definitivo. Anzi, la stessa soddisfazione finale è solo apparente: un desiderio appagato ne crea un altro. La gioia è quindi una cessazione del dolore, mentre non si può dire che quest'ultimo sia la fine di un piacere. L’individuo può sperimentare una catena di affanni, senza che questi siano preceduti da altrettanti piaceri, mentre ogni appagamento nasce dalla cessazione di una preesistente tensione fisica e psichica. Il piacere riesce a vincere il dolore solo a patto di annullare se stesso, non appena viene meno lo stato di tensione cessa anche il godimento (esempio di “felicità negativa”). Accanto al dolore e al piacere, come terza situazione di base c’è la noia, la quale subentra quando vengono meno le preoccupazioni e il desiderio. “La vita è come un pendolo che oscilla incessantemente fra dolore e noia, passando per l’intervallo fugace del piacere”. La Volontà di vivere si manifesta in tutte le cose, perciò il dolore non riguarda solo l’uomo, ma ogni creatura (sofferenza universale). Quindi il male si trova nel Principio stesso da cui dipende il mondo (pessimismo cosmico). L’individuo appare come uno strumento per la specie, fuori della quale egli non ha valore. Di conseguenza, l’unico fine della Natura sembra esser quello di perpetuare la vita, e con la vita, il dolore. Il fatto che alla Natura interessi solo la sopravvivenza della specie trova una sua manifestazione nell’amore, uno dei più forti stimoli dell’esistenza. Il fine dell’amore, o lo scopo per cui esso è voluto dalla Natura, è solo la perpetuazione della specie. Quindi l’uomo è lo zimbello della Volontà di vivere proprio là dove crede di realizzare maggiormente il proprio godimento e la propria personalità. Per questo l’amore procreativo viene inconsapevolmente avvertito come “peccato”. Esso commette il maggiore dei delitti: la perpetuazione di altre creature destinate a soffrire. L’unico amore di cui si può tessere l’elogio è quello disinteressato, la pietà.

Schopenhauer, facendo proprie alcune sentenze pessimistiche a lui precedenti (saggi d’Oriente, Platone, tradizione biblico-cristiana), afferma che l’esistenza, in virtù del dolore che la costituisce, si comincia poco per volta a non volerla. Allo stesso tempo però rifiuta e condanna il suicidio: primo poiché esso è un atto di forte affermazione della Volontà; secondo, perché sopprime solo una manifestazione di quest’ultima, non essa stessa, che rinasce in mille altri enti. Di conseguenza la vera risposta al dolore del mondo sta nella liberazione dalla Volontà di vivere, che avviene attraverso tre stadi: arte, morale e ascesi. L’arte è la conoscenza libera e disinteressata, che si rivolge alle idee; in essa una forma particolare d’amore o di guerra diventa l’Amore e la Guerra, cioè l’essenza immutabile di questi fenomeni. Chi contempla le idee dunque, è il puro soggetto del conoscere, non più l’individuo naturale; quindi essa sottrae l’uomo dalla catena infinita dei bisogni e dei desideri quotidiani, con un appagamento immobile e compiuto. Per questa ragione si rivela catartica per essenza, siccome l’uomo, grazie ad essa, più che vivere contempla la vita, elevandosi sopra la Volontà, il dolore e il tempo. Ma poiché la funzione liberatrice dell’arte è pur sempre temporanea e parziale, si rivela essere solo un conforto alla vita stessa. L’etica invece, implicando un impegno nel mondo a favore del prossimo, è un tentativo di superare l’egoismo e di vincere quella lotta incessante degli individui tra loro, che rappresenta una delle maggiori fonti di dolore. Essa non sgorga da un imperativo categorico dettato dalla ragione, ma da un sentimento di pietà e da un’esperienza vissuta, attraverso cui avvertiamo come nostre le sofferenze degli altri. Tramite la pietà sperimentiamo quell’unità metafisica di tutti gli esseri, che la filosofia teorizza e i testi delle Upanishad (parte conclusiva dei Veda, cioè i libri trasmessi oralmente dai Poeti-Profeti dell’antica India ai loro discepoli), esprimono con la formula Tat Twan Asi (“questo vivente sei tu”). Il tormentatore e il tormentato quindi, distinti fenomenicamente, sono, noumenicamente, una stessa realtà. La morale si concretizza in due virtù cardinali: la giustizia e la carità (o àgape). La prima ha un carattere negativo, poiché consiste nel non fare il male e nell’essere disposti a riconoscere agli altri ciò che siamo pronti a riconoscere a noi stessi. La seconda s’identifica invece con la volontà positiva e attiva di far del bene al prossimo. L’etica rimane però sempre all’interno della vita e presuppone un attaccamento ad essa. Schopenhauer invece, si propone il traguardo di una liberazione totale dall’egoismo, dall’ingiustizia e dalla Volontà di vivere tramite l’ascesi. Essa nasce dall’orrore dell’uomo per un mondo di dolore ed è l’esperienza per la quale l’individuo si propone di estirpare il proprio desiderio di esistere, attraverso la castità, il digiuno, l’umiltà, la povertà e il sacrificio. Se tale Volontà fosse vinta totalmente in un solo individuo, essa perirebbe del tutto, poiché è unica e indivisibile.


Percorso interdisciplinare di gaia millo anno scolastico 2004-2005 liceo scientifico "G.Oberdan" Trieste


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