| Le prime
            notizie riguardo l'impaludamento della valle dell'Ospo risalgono
            all'anno 1000; questo avvenimento rese infatti la foce del corso
            d'acqua un terreno adatto alla costruzione di peschiere e saline, a
            quei tempi due importanti settori dell'economia delle città
            costiere.
         Il potenziamento delle saline fu probabilmente dovuto ai
            monaci dell'ordine dei Templari, i quali si insediarono in questa
            zona nel Medioevo per dare assistenza ai pellegrini slavi e tedeschi
            diretti in Terra Santa o nei santuari italiani. L'attuale Rio Ospo
            si chiamava "fiume di San Clemente", ed i viandanti erano
            accolti nella "domus Sancti Clementis" che sorgeva
            nell'omonima valle.
         
         Carta del 1818 con il corso
        originale del Rio Ospo e la configurazione delle saline. 
          
        L'attività delle saline durò fino al 1827,
            anno in cui un decreto governativo austriaco ne ordinò l'abbandono.
            La Valle delle Noghere fu allora occupata da paludi e canneti e
            questo naturale processo di interramento fu accelerato in seguito ad
            attività antropiche che interessarono la sua zona. 
          
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             Tra il 1953 e
            il 1959 la valle passò sotto l'amministrazione dell'EZIT che vi
            operò, tramite lavori di bonifica, di arginamento, di copertura e
            rettifica del corso dei torrenti, notevoli trasformazioni
            morfologiche. Nel 1968 alla zona industriale fu annessa un'area di
            Rabuiese occupata dalla Fornaci Valdadige, una fabbrica di laterizi
            che sfruttava una cava d'argilla situata lungo la sponda sinistra
            del Rio Ospo. 
        
              
            
 Lo stabilimento delle Fornaci Valdadige in una
        foto degli anni '60
              Quest'industria cessò la produzione nel dicembre del
            1973 e fu completamente sgomberata nel 1974.  Da allora negli scavi
            abbandonati si formarono circa una quindicina di
            "laghetti"; alcuni di essi furono interrati per la
            costruzione delle nuove fabbriche, altri furono utilizzati come
            discariche, i rimanenti sono attualmente sotto tutela per il loro
            notevole interesse naturalistico. 
             Alcuni
            "laghetti" sono stati inseriti da Silvio ed Elio Polli nel
            
            catasto degli stagni della Provincia di Trieste assegnando loro i
            numeri dal 53 al 60. Questi rilievi sono stati fatti nel 1981 e nel
            1983 e da allora l'area in questione ha subito ulteriori modifiche. 
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