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La coscienza di Zeno
Il più noto tra i libri di Italo Svevo e considerato il primo romanzo
psicologico del Novecento, già dal suo inizio sconvolge le regole narrative
tradizionali: esso si presenta, infatti, come l’attuazione di un consiglio dato
dal suo medico psicoanalista al protagonista Zeno Cosini di scrivere la propria
autobiografia come preludio per una più profonda terapia analitica. Introdotto
da una nota polemica dello stesso dottore, si apre al lettore il diario del
passato di Zeno. Già dalle prime pagine si capisce, però, che non si tratta di
un’autobiografia cronologicamente ordinata quanto di un “flusso di coscienza”
(senza adoperarne,come avvertì V.Jahier, "l'odiosa tecnica"), in cui il
protagonista accenna alla sua infanzia; alla dolorosa morte del padre che,
proprio in punto di morte, riconferma ulteriormente il rapporto conflittuale e
problematico con il figlio, al suo matrimonio con una delle sorelle Malfenti,
alla sua relazione con una povera ragazza, all’amicizia con Guido (che si
suiciderà per debiti) e al suo ruolo nella società commerciale dell’amico. Questi
fatti sono totalmente filtrati dalla "coscienza di Zeno",che rilegge a distanza
di tempo il proprio passato,scegliendo a suo piacere che cosa dire e che cosa
tacere, interpretando e travisando gesti, atteggiamenti, e parole di un tempo.
Ne appare un insieme fatto di mediocrità, occasioni mancate, propositi mai
attuati che fungono da alibi dell’incapacità di tener loro fede (esempio
mirabile il proponimento mai attuato di smettere di fumare), il tutto situato in
un tempo indefinito: questo infatti, nella memoria di Zeno, si dilata e si
restringe a seconda delle sue esigenze interiori (il protagonista, che termina
le sue memorie nel 1916, racconta eventi accaduti tra il 1890 e il 1895, ma non
dà notizia del resto degli anni trascorsi) e la sua voce in prima persona non
garantisce l’attendibilità delle cose narrate. E non perché Zeno menta, ma
perché il suo io “malato” non è più il possessore della verità e la coscienza
manipola i contenuti che le arrivano dall’inconscio, come insegna Freud.
La
coscienza di Zeno è stato uno dei romanzi più studiati e analizzati della nostra
letteratura, anche perchè la sua ambiguità e la sua ironia (caratteristiche
principali del modo di raccontare di Svevo) hanno dato vita a diverse letture ed
interpretazioni. Del problema "filologico" dei rapporti tra Svevo e la
psicanalisi alcuni elementi fondamentali ci vengono dati dagli studi di M.Fusco
e M.David che ricercano fonti e tappe delle conoscenze sveviane in merito;
l'argomento è poi ripreso massicciamente negli anni settanta, quando cresce
particolarmente l'interesse per una lettura psicoanalitica delle opere sveviane:
escono in questo periodo i saggi di C.Musatti (Svevo e la psicoanalisi, in
Belfagor, marzo 1974), M.Lavagetto (L'impiegato Schmitz e altri saggi su Svevo,
1975), C.Fonda (Svevo e Freud. Proposta di interpretazione della Coscienza di
Zeno, 1978), che ricostruiscono proficuamente i dati cronologici delle dirette
letture di Freud e ne verificano l'influsso sulla produzione sveviana. Più
interessanti sono però quegli interventi che non esaminano tanto la misura della
presenza - nel narratore - di strumenti d'analisi di tipo freudiano quanto
cercano di cogliere gli influssi della psicoanalisi sul modo sveviano di porsi
di fronte alla realtà, sul rapporto che egli intrattiene con i propri
personaggi. Uno studio di questo tipo lo troviamo in "Svevo e Schmitz" di
G.Debenedetti che a proposito del personaggio di Zeno scrive: "Zeno si presenta
come uno che scrive la propria vita controvoglia, per ordine medico: quindi per
uno scopo prevalentemente fisico e non morale, sebbene poi il senso della
malattia fornisca una delle principali immagini che egli ha della propria
psiche: sia cioè una vera e propria affezione morale. E poi il diario è
pubblicato, non da Zeno, ma dal suo medico: di conseguenza Zeno è, almeno in
parte, irresponsabile di ciò che noi leggiamo. Di più: il medico si è indotto a
rendere pubblico questo diario psicoanalitico per punire il cliente, scettico
verso la cura, di non essersi confessato con la dovuta serietà. "Se (Zeno)
sapesse" soggiunge il medico "quante sorprese potrebbero risultargli dal
commento delle tante verità e bugie che egli ha qui accumulate!...". Zeno è
dunque - per lo meno nell'impianto del libro, che è quello che gli dà il tono -
pressoché assente da ciò che narra. Se può prendere coscienza di sé in maniera
molto disincantata, come accade al vecchio che ripercorra i giovanili errori
questa maniera risulta nel contempo molto rasserenata, ricca di possibilità
ottimistiche e di ravvedimenti che più non dolgono. Eppure l'ottimismo di Zeno
riesce sempre sofistico. Proprio quando sembra concludere che a conti fatti lui,
il presunto malato, è più sano che tanti sani, lui, presunto anormale, è più
normale di tutti i sedicenti uomini normali - proprio allora, dietro la
conclusione apparente, serpeggia quella vera: che cioè la vita è sempre andata a
posarglisi dove lui non prevedeva, dove i suoi calcoli e i suoi piani non lo
aspettavano... La vita, quando lui crede averla colta in un punto preciso, si
incarica sempre di dargli un cazzotto cieco e sconcertante. Proprio come fa suo
padre, già fuor di sè per l'agonia, allorché lui si pensava aver toccato infine
il sublime momento, in cui i difficili rapporti tra padre e figlio si spogliano
dei loro aspri e incomunicabili pudori, per semplificarsi in chiara intelligenza
di affetti. L'eroe di Svevo è generato dalla sensazione fondamentale di uno
scompenso tra l'orientamento che l'individuo dà alla propria vita,e la curva che
poi la vita descrive: incarna questo difetto, questo errore di calcolo e, con le
sue vicende, viene a testimoniarlo e a patirlo tra il gioco delle sorti umane".
Un'analisi interessante ci viene proposta anche da Giuditta Rosowski nella sua "Theorie
et pratique psychanalitique dans l'oeuvre d'Italo Svevo".
La posizione di Svevo
nei riguardi della teoria freudiana non è priva di ambiguità. Il successo della
cura non esclude considerazioni che sembrano limitarne la portata. E' così che
il romanziere sottolinea gli altri fattori che hanno collaborato alla
socializzazione del suo personaggio: Zeno trova nella moglie una buona
sostituzione della madre; Olivi è un eccellente sostituto del padre: egli fa
tutto il suo dovere ma resta suo impiegato. Zeno viene brutalmente divezzato in
un momento particolarmente favorevole, quello della guerra, che lo libera da
coloro che lo attirano verso il suo passato infantile. Ma soprattutto egli ha la
libertà economica di intraprendere un'analisi. Un'altra considerazione può esser
fatta nello stesso senso. Nel racconto dell'incontro di Zeno con la guerra
veniamo colpiti dalla superficialità con cui egli risponde all'inquietudine di
un contadino che teme un prossimo scoppio del conflitto. Si potrebbe pensare che
una volta di più qui, davanti alle minacce della realtà, Zeno reagisca nel suo
modo abituale, con un ottimismo superficiale e volutamente cieco. E ciò non
sarebbe in contraddizione con quello che abbiamo detto sull'esito della sua
"guarigione": le ricadute sono sempre possibili! Ma si potrebbe pensare anche
che Zeno resti estraneo a tutto ciò che succede, che gli eventi non lo
riguardino più. E la psicanalisi, simboleggiata dall'euforia di Zeno davanti
alla sua recentissima liberazione, diventa allora un lusso in un universo che
resta mosso, esso, da altri valori!... La psicanalisi ha guarito Zeno
integrandolo nella società: ma che cosa diventa egli, allora? Un buon
commerciante che, in mezzo ad una catastrofe mondiale, "non potendo far altro",
realizza degli affari, Zeno non fa che approfittare di una situazione che non ha
creato e che non prevedeva affatto. Questo egoismo dell'uomo sano non è diverso
da quello del malato. Il romanzo si conclude sull'immagine di una "nebulosa",
una specie di sogno di distruzione che lascia il problema sempre aperto. Questa
è un'interpretazione possibile dell'ultima pagina de La coscienza di Zeno che ne
offre molte grazie a questo margine di indeterminazione, a questa "pluralità di
sensi" che sono la caratteristica del discorso letterario. Resta il fatto che,
se per Svevo la psicanalisi come terapeutica delle nevrosi individuali non offre
soluzioni politiche, essa rimane uno strumento di lavoro filosofico valido. La
psicanalisi mostra infatti come poco fondata sia la gerarchia dei valori in una
società, poichè solo il possesso della sua fortuna permette al suo "eroe" di
realizzarsi.
Jean Pouillon invece ne "La coscience de Zeno, roman d'une
psychanalyse (temps modernes)" afferma che: "La nostra meraviglia nasce
dall'abitudine a quei romanzi in cui il lettore si immedesima nel personaggio e
in cui la prima persona è quella di un complice, non di un individuo che si
accosta liberamente a noi per essere altrettanto liberamente capito:romanzi che
sono in sostanza provocazioni ad una follia a due. Soltanto in questo tipo di
narrazione la comprensione si trasforma immediatamente in accordo e in
identificazione. Noi crediamo spontaneamente al personaggio immaginario quando
dice "io", ma non crediamo con la stessa facilità ad un nostro simile! Per
questo motivo Zeno ci sembra vivo nella misura in cui prestino poca fede a ciò
che dice e lo vediamo diverso da quello che egli pretende di essere. La sfida
che ci lancia, e che noi non possiamo far a meno di raccogliere, è il segno del
suo esistere: se egli esige di essere capito, e tuttavia ci sfugge, è perchè
esiste anche senza di noi. Ma perchè noi possiamo avere questi dubbi su Zeno,
bisogna che il romanzo sia sottilmente squilibrato, che l'autoritratto del
protagonista si offra ad una contestazione, che appaia come un documento da
interpretare, e non come un quadro oggettivo avente significato in sè per sè, da
prendere o lasciare. E' necessario che si instauri una relazione contingente fra
il lettore ed il personaggio. Bisogna, dunque, che questa contestazione sia
solamente indicata, ma non espressamente formulata, in modo che il lettore possa
liberamente riprenderla per conto proprio. In realtà esiste, appunto, nel
romanzo, un posto vuoto che sembra riservato proprio per il lettore: quello
dello psicanalista. Se quest'ultimo rimane dietro le quinte, lo fa solo perchè è
l'eponimo del lettore che Svevo si augura di avere. Senza dubbio questa figura
appare abbastanza caricaturale; questa ironia, che dà una maggiore profondità al
romanzo, significa che Zeno deve, malgrado tutto, riuscire
simpatico....L'abilità di Svevo è di non rivelarci ciò che il dottore pensa del
suo paziente, e di lasciaci la responsabilità di interpretare il documento che
ci è consegnato: tutto questo, facendoci dimenticare che siamo stati
deliberatamente provocati a considerarlo come un "documento psicologico"....
Però, quando ci rendiamo conto che, leggendo, noi sosteniamo una parte abilmente
preparata come una trappola da un autore scaltro, si produce in noi un
capovolgimento, anche questo preparato in anticipo nella prefazione a doppio
fondo. A prima vista essa ci mette in guardia contro Zeno; ma, in modo più
sottile, il comico di questa nota preliminare ci fa sentire ugualmente prevenuti
contro il dottore. E' possibile vedere uno psicanalista manifestare così
candidamente il suo astio contro un paziente? La su imparzialità - e di
conseguenza la nostra, perchè noi sosteniamo la sua parte - è certamente tanto
contestabile quanto quella di Zeno. Giudicate Zeno, ci dice insomma Italo Svevo,
voi ne avete il diritto, ed egli si presta al gioco, ma non credetevi superiori
a lui: voi non valete più di lui!".
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