Una folla
oceanica ai funerali del canottiere triestino Vascotto:
gli atleti azzurri hanno portato la bara a braccia
Lacrime
e un applauso per l’ultimo saluto a Luca
TRIESTE - Quel prolungato rintocco di campane, che
annuncia la messa nella chiesa del cimitero di
Sant'Anna, spezza il silenzio sordo che accompagna la
bara di Luca Vascotto. Dietro ai familiari, per dare
l'ultimo saluto al giovane campione triestino di
canottaggio colpito da un male incurabile, un corteo di
quasi duemila persone. Parenti, amici, conoscenti,
autorità, sportivi venuti da fuori Trieste ma anche
tanta gente comune, profondamente colpita dalla
scomparsa di un ragazzo di soli 25 anni bello e forte.
«L'ultima corsa Luca non l'ha fatta da solo, anche
questa volta ha combattuto assieme a tutti quelli che
gli sono stati vicini» esordisce dall'altare un
altrettanto giovane sacerdote. Coperta da un cuscino di
rose gialle e rosa la bara, tra il labaro
dell'Associazione atleti azzurri d'Italia e quello
dell'Istituto Nautico, è immersa in una chiesa che non
riesce ad accogliere tutta la folla. Il pur ampio
parcheggio di via Costalunga, infatti, non è riuscito a
contenere tutte le macchine che, a fatica, hanno trovato
una sistemazione lungo il marciapiede della strada che
costeggia il cimitero. Ancora più impressionante la
partecipazione nella camera ardente, a feretro aperto.
La fila è infinita, tanto che gli inservienti preposti
alle operazioni di chiusura della bara sono a un certo
punto costretti a fermare quella processione che non
vuole terminare mai. La mamma, il papà e la sorella di
Luca hanno affrontato la toccante cerimonia con
un'encomiabile compostezza, attorno a loro tante mani e
tante lacrime di giovani e anziani che, al momento della
tumulazione, si sono unite in un forte applauso
liberatorio. «C'è un tempo per nascere e uno per
morire» viene letto nella parabola scelta per la prima
lettura che, nella successiva predica, il prete
chiarisce ai presenti. «Fare bella ogni cosa a suo
tempo è il messaggio che il Signore ci ha trasmesso. È
facile accogliere la vita, difficile accettare quando
questo dono ti viene tolto, soprattutto quando dura poco
tempo. Ma Luca aveva fede, una forza interiore che mi
aveva ribadito personalmente anche poco tempo fa...».
Ad ascoltare quelle parole anche i canottieri
olimpionici, comprese le «barche» vincitrici sia l'oro
sia l'argento a Sidney, che alla fine della messa hanno
portato a spalla la bara con dentro il loro amico. Tra
questi anche Nicola Sartori, compagno di tante gare,
pronto a ricordare Luca con un aneddoto non solo di tipo
sportivo: «Era il '97 e nel doppio ci stavamo giocando
le selezioni - racconta - per la nazionale di
canottaggio. Di fronte avevamo tanti equipaggi più
esperti, non giovani alle prime armi come noi. Il
giudice diede il via mentre la nostra imbarcazione era
ancora impreparata, allora d'istinto alzai la mano per
richiamare l'attenzione invece, dietro di me, sentii
Luca gridare in triestino 'movitè. Partimmo con circa 7
secondi di svantaggio, ma arrivammo comunque primi».
Questo era Luca Vascotto, ragazzo forte e determinato,
colpito da un male che gli aveva segnato il viso ma non
il cuore. Dall'altare è stata Marcella Skabar,
presidente dell'Associazione atleti azzurri d'Italia, a
ricordare l'atleta, ma anche il ragazzo divenuto uomo:
«Il coraggio che portavi dentro non ti permetteva di
lamentarti, la speranza era quella di ritornare a
remare. Ti stavi preparando per Sydney e nessuno si è
accorto della grave malattia. Perdonaci Luca».
Pietro Comelli
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