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Un
problema comune: la sicurezza
Tante fruizioni, spesso miste, delle strade
corrispondevano a diverse volontà o possibilità di tutela, controllo e
manutenzione delle stesse. Tra i vari utenti furono i mercanti – sia per
necessità contingenti sia per quell’approccio razionale e pragmatico che li
contraddistingueva in ogni campo agissero – a dimostrarsi coinvolti in maniera
più concreta e assidua nell’organizzazione stradale, in quanto promotori,
coordinatori, esecutori non solo di spedizioni commerciali ma anche di politiche
economiche che andavano spesso ad interferire (o talvolta a identificarsi) con
la politica dei loro stati. I mercanti difatti si preoccupavano – alle volte
provvedendovi direttamente, più spesso sollecitando presso i poteri locali
interventi mirati – che fosse garantita una generale situazione di sicurezza per
tutti i viatores e, più nello specifico, che fossero loro assicurati passaggi
aperti durante tutte le stagioni, cammini ampi e comodi, attrezzature funzionali
(dalle poste, alle locande, agli hospitia). Essi si adoperarono inoltre per
ottenere il ridimensionamento dell’istituto della rappresaglia, fonte di
intralci per un tranquillo svolgimento dei commerci essendo i mercanti tra i
soggetti maggiormente presi di mira, per il loro status di straniero, per lo più
indifeso, ma dotato di una discreta disponibilità finanziaria. Lettere di
salvacondotto – trasformatesi però presto in tariffe daziarie – e contratti di
assicurazione (di nuova elaborazione), completano il quadro degli strumenti
approntati a difesa degli operatori e delle loro merci.
La stretta compenetrazione fra mercanti e viabilità fu per esempio evidente a
Milano. A seguito della concessione da parte del comune, l’Universitas
mercatorum Mediolani eleggeva ogni anno 12 consules con ampia giurisdizione su
strade e mercati: durante il loro mandato essi avevano il compito di collaudare
le strade, scrivendo su un registro quelle approvate; sulle strade non iscritte
la sicurezza era quasi nulla e su questi itinerari era escluso l’aiuto della
Camera in caso di ruberia (1330).
Pure a Pavia, nodo del commercio della valle padana anche nei secoli
altomedievali, la mercanzia dimostrò di essere fortemente consapevole
dell’importanza del ‘fattore strada’ per lo svolgimento delle proprie attività.
Gli statuti dei mercanti pavesi, emendati nel 1295 e nel 1346, si dimostrano in
primo luogo attenti a risolvere questioni relative all’uso delle strade, usi a
seconda dei casi protetti, imposti, limitati .
I mercanti della città padana si preoccupavano inoltre della tutela delle
proprie cose e persone in caso di furti e rapine commessi da robatores stratarum,
richiedendo l’intervento punitivo del podestà comunale. Il problema della
sicurezza delle vie di comunicazione era d’altronde sentito non solo dai
mercanti per il tranquillo esercizio delle loro attività, ma anche dai comuni
stessi nel momento in cui esso significava pace e stabilità nei rispettivi
contadi .
Sebbene l’instaurazione di nuovi rapporti commerciali, o anche solo
l’individuazione di piazze promettenti per futuri sviluppi, si riflettesse
facilmente sull’andamento viario, portando alla progressiva atrofizzazione dei
cammini verso mete meno frequentate e all’inaugurazione di nuove comunicazioni,
la dinamica del rapporto tra il sistema stradale nel suo complesso e i percorsi
commerciali non era certo così rigida. I flussi di pellegrini, militari e
mercanti non seguivano infatti necessariamente gli stessi itinerari né si
manifestavano negli stessi tempi, constatazione quest’ultima che torna a
ribadire i caratteri assai compositi del rapporto fra strade e utenza, un nesso
fatto di fruizioni contestuali da parte di utenze differenziate, di finalità
diverse e intersecate di utilizzo, di usi locali che si integravano ad usi sovra
regionali ed internazionali.
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