CONFERENZA-CONCERTO DI PAOLO PESSINA
Prima esecuzione assoluta dell’ultima composizione del Maestro.
di Elena Clescovich

Su iniziativa dell’Istituto giuliano di storia, cultura e documentazione, che si propone di far conoscere musicisti di innegabile talento, ma i cui nomi e le cui opere tuttavia non sono ancora molto noti al frequentatore medio delle sale da concerto, il 6 dicembre si è tenuto presso l’Auditorium del Museo Revoltella un’incontro dedicato ad un giovane e già affermato esponente della musica colta contemporanea, il trentenne compositore milanese Paolo Pessina.

Dopo aver compiuto gli studi musicali a Trieste e Milano, nel 1995 Pessina si è diplomato brillantemente in composizione e nel 1998 in direzione d’orchestra. Il nutrito corpus delle sue opere dimostra una predilezione per la musica da camera, pur spaziando dal genere orchestrale a quello vocale e per pianoforte solo. Una scelta che peraltro viene confermata proprio da“Jubilaeum. Mutationes super Dies Irae” op. 50, per violino e pianoforte, l’opera dall’arcaicizzante titolo che Pessina ha preparato appositamente per quest’occasione triestina  e che ha proposto al pubblico intervenuto alla manifestazione - affidandone l’esecuzione a due valenti interpreti padovani, il violinista Stefano Furini e il pianista Alberto Boschio.

“Jubilaeum” appare strutturata secondo uno schema di forma sonata, rielaborato da Pessina in modo molto personale, che prevede una suddivisione in cinque tempi (che l’autore chiama “Partes”) - anziché in quattro come nella sonata tipica - di cui i primi tre (Pars Ia, moderata; Pars IIa, “Scherzo”; Pars IIIa , Intermezzo”, “moderately fast”) costituiscono il primo tempo, da eseguire senza interruzioni. Le due “Partes” rimanenti (“Adagio” e “Finale”) corrispondono invece formalmente al III° e IV° tempo della sonata tradizionale.

Le particolari caratteristiche di “Jubilaeum” , che però in quanto a contenuti non pare dica molto di nuovo, sono state evidenziate dal concerto. Il tema inconfondibile del “Dies Irae”- la sequenza latina duecentesca attribuita a Tommaso da Celano, che veniva eseguita nelle messe funebri - fa la sua solenne entrata fin dalle primissime battute della Pars Ia, proposto dal pianoforte con potenti ottave nel registro medio-basso, cui risponde quasi subito il violino con una serie di guizzanti arpeggi alla Paganini che si vanno man mano allentando in un canto simile quasi ad una melodia gregoriana, però arricchito da procedimenti tecnici tipicamente ottocenteschi. Tale continuo mutare di stile si mantiene costante per tutta la durata di “Jubilaeum”, che appare dominato dalla presenza del motivo medievale. Si passa da dolcissime, cantabili romanze di chiara ascendenza brahmsiana o schubertiana - anche beethoveniana, con una citazione dell’incipit dell’ Andante con moto della Quinta Sinfonia - a momenti armonicamente più aspri e dinamicamente marcati - anche qui, riconoscibilissimo ad esempio un accenno camuffato al tema dello Studio op.10 n.12 di Chopin - che mai tuttavia sembrano giungere ad apici di vera  e sofferta drammaticità, nonostante i pieni accordi in fff sulla tastiera o gli episodi che vedono piano e violino contrappuntare fittamente. Il motivo del “Dies Irae” emerge ad ogni battuta o quasi, sotto vesti sempre diverse, ora esposto da uno o dall’altro strumento - tanto che pare essi facciano piuttosto a gara per riappropriarsene, mostrando all’altro la maestria virtuosistica e la fantasia con cui sono capaci di trasfigurarlo. Se nella Pars IIa  l’atmosfera si fa più omogenea, proponendo, riprendendoli ciclicamente, altri bei motivi - che potrebbero esser stati composti benissimo da un musicista del secolo scorso - nei quali lontanamente riecheggiano tracce intervallari del motivo di Tommaso da Celano, la  Pars IIIa presenta a tratti le movenze di una danza popolare di qualche non ben definita Scuola nazionale. Le due “Partes” conclusive si distinguono per i loro caratteri contrastanti e, rispetto alle prime tre, molto meno vaghi, anche se non molto compatibili con l’insieme. L’”Adagio”si propone come una sognante, nostalgica ninna-nanna, mentre il modernistico “Finale” accosta epoche e culture diverse, l’asetticità lineare e atemporale del “Dies Irae” con i ritmi esotici e sincopati del ragtime e del tango, in un crescendo di frenesia danzante, sottolineato, verso la conclusione, dall’iterazione ossessiva al pianoforte di una cellula ritmica in contrattempo con la parte del violino. Dopo la climax sonora riappare il corale del “Dies Irae” esattamente come fu esposto all’inizio. Vorrebbe, questo, essere un coerente suggello e soprattutto una conferma di unitarietà nella concezione di “Jubilaeum”, eppure sembra purtroppo evidenziare quella mancanza di coinvolgimento personale e la discutibilità di certe soluzioni stilistiche, rilevabili un po’ in tutta la composizione.

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