Se ne stava lì come disperso in quella libreria stracolma, timido reduce – nel suo affascinante profumo di scuola – di appassite notti insonni trascorse a declinare le prime vogliose brame di saper poesia (Dio quanti anni sono già trascorsi); e guardava, almeno a me così parve, come a dire: “Leggimi”. Lo presi con gesto istintivo, se non meccanico, e lo rigirai fra le dita come fosse divenuto, con gli anni, un oggetto di porcellana, riuscendo a sussurrare umilmente: “Maestro”. Nello scorrere dei versi tornavano a vivere immagini di trincee dove ragazzi, padri, sacerdoti si distendevano in “un’urna d’acqua” accoccolati vicini ad i “panni sudici di guerra”. Forse fu lì Maestro che divenisti uomo e crescesti al punto da percepire “l’annientante nulla del pensiero”; oppure la metamorfosi che nessuna parola può descrivere accadde “quando improvvise vidi zanne viola/in un’ascella che fingeva pace”. Eri comunque già pronto alla diatriba quando implorasti silenzio e dolore gridando “cessate d’uccidere i morti”. Tremavi sempre al buio pur certo del giungere della nuova alba a riportare un sinonimo di vita; e per quanto tu temessi la notte (non ad essere romantico-semantico neppure verso la luna) intuisti che la sua luce “incarnerà la sofferenza”. Non vorrei però, Maestro, offendere chi, molto più saggiamente di me, ha misurato i Tuoi scritti sillaba per sillaba, non vorrei oltraggiare il loro operato dicendo che oltre alla tecnica pittorico/ metrico /linguistica ogni poeta malcela un uomo tormentato, complesso, egoista fino a voler tutt’un’attenzione particolare per sé; ma tanto altruista, tanto indifeso nel momento che, velata dai versi, porge con sincerità e con un amore particolare, sconosciuto ai più, la sua anima vera e completa come omaggio all’umanità; questo si Maestro Te lo debbo. Rileggendo i tuoi diari oggi, da adulto, ho sentito un nuovo motivo crepitare fra i tuoi versi, il motivo della vita fuori dalla “malinconiosa carne”, finalmente ho trovato l’uomo coraggioso giovane combattente il quale, in un mondo che riesce solamente a distruggere, , è in grado di fermarsi e pensare di “un fiore colto e l’altro donato”. E sempre di coraggio si parla quando contro i grandi pieni di leggi e di merletti, contro le assurde regole che ingabbiarono e ancor oggi ingabbiano i versi di chi scrive poesia, contro un mondo schierato ad uccidersi, hai infranto ogni vincolo con un urlo di libertà e, volando da un oceano all’altro, hai deposto il tuo verso – perfetto- illuminandoci d’immenso.
Grazie Maestro!