A mosca cieca

Cartella Critica del film di Romano Scavolini
a cura di Bruno Di Marino

Era ora che – dopo tanti anni di inspegabile oblìo – si cominciasse a rivalutare e a sottrarre dalla rimozione il cinema di Romano Scavolni, autore davvero singolare del panorama italiano, a metà strada tra underground e cinema ufficiale, fiction e non-fiction, con alle spalle decine e decine di corti e svariati lungometraggi.

Ispirato a "Lo straniero" di Camus A mosca cieca – che resta l’opera più significativa di Scavolini – racconta di un uomo (Carlo Cecchi) che trova per caso una pistola dentro una vettura in sosta, se ne impadronisce e finisce con l’usarla altrettanto "casualmente", uccidendo un uomo che esce dallo stadio la Domenica pomeriggio. Il film racconta questa lucida attesa, la vita quotidiana dell’uomo, la relazione con una serie di persone (la sua compagna, un amico, il padre...) ma soprattuto il suo rapporto con questo oggetto, così "significante" da spingerlo a commettere un atto estremo per dare un senso non tanto alla propria esistenza, quanto a quella della pistola, che vive appunto di vita propria. Questo gesto radicale, in linea con l’estetica surrealista che istigava a sparare a caso tra la folla, rientra dal punto di vista tematico nel cinema della rivolta precedente o successivo di Bellocchio (I pugni in tasca, 1962), Bertolucci (Partner, 1968), Ferreri (Dillinger è morto, 1969), ma con modalità di rappresentazione ben più rivoluzionarie: la narrazione seppure ancora rintracciabile è continuamente stravolta e sabotata innanzitutto dalla soppressione del dialogo, poi da inversioni nella successione temporale, reiterazioni ossessive di gesti (il furto della pistola, il gettarsi sfinito sul letto), da inserimenti di segni, parole o formule matematiche, in modo da saturare di significanti l’immagine, ridestare continuamente l’attenzione dello spettatore, svelandogli l’artificio della messa in scena ma anche frustrando le sue aspettative: come quando una freccia in sovrimpressione indica la futura vittima.

A mosca cieca di Scavolini è diventato, suo malgrado, un film "maudit", a causa di interminabili peripezie giudiziarie, conclusesi all’epoca con il sequestro della copia originale, tuttora custodita negli scantinati dell’ex Ministero dello Spettacolo. L’accusa fu quella di "pornografia" per il seno di Laura Troschel fugacemente mostrato. L’autore e il produttore Nasso si rifiutarono di tagliare i fotogrammi incriminati e fecero appello al Consiglio di Stato: il risultato fu che A mosca cieca venne bocciato da ben tre commissioni censoree. Malgrado ciò il film fu presentato a Pesaro nel 1966 e fu apprezzato tra l’altro da Joris Ivens e Jean-Luc Godard, per poi essere visto – sotto altro titiolo, per eludere la censura – a Berlino, Carlovy Vary, San Francisco, New York, Mosca, ecc.

Prima ancora dello scottante tema - che preannuncia la futura stagione dell’eversione terroristica - ciò che fece impaurire i censori fu lo scardinamento dei canoni cinematografici, il fatto che non solo l’omicidio rappresentato restava senza motivazione ma la stessa rappresentazione si presentava come "libera" da ogni logica. Al gesto liberatorio del protagonista che finalmente può usare un oggetto costruito per sparare o contro se stesso o contro gli altri, si affianca il gesto liberatorio di Scavolini che può usare per gran parte del film la macchina da presa a mano, adottando uno sguardo voyeuristico e "selvaggio" che esprimesse a fondo il vuoto esistenziale di quegli anni. Oltre a Camus l’altro riferimento letterario che informa A mosca cieca è a Beckett, di cui alla fine viene riportata la frase: "Chi ha voluto ascolatare ascolterà sempre, sia che sappia di non sentire più niente, sia che lo ignori".


Cultura

Home page