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			 Nicolò Ugo Foscolo 
			nacque nel 1778 nell'isola greca di Zante, alla morte del padre si 
			trasferì a Venezia con la madre. Egli fu molto attivo politicamente 
			tanto che nel 1798 si arruolò nell'esercito di Napoleone. Ma quando, 
			con il trattato di Campoformio, Venezia venne ceduta all'Austria 
			Foscolo si allontanò dalla città e visse un periodo a Firenze e a Milano. 
			Dopo la sconfitta e l'abdicazione di Napoleone decise di andare in 
			esilio prima in Svizzera e poi a Londra dove morì nel 1827, stanco, 
			ammalato e povero. Ora le sue ceneri sono nella chiesa di Santa 
			Croce a Firenze, che egli aveva cantato nei Sepolcri.  | 
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	Il periodo in cui visse Foscolo è caratterizzato da cambiamenti dal punto di 
	vista letterario e culturale. In Europa, soprattutto in Inghilterra e in 
	Germania, si era già sviluppata la corrente del romanticismo, mentre in 
	Italia questo pensiero trovò una certa difficoltà ad espandersi poiché era 
	ancora molto diffusa la corrente neoclassica. Per questo motivo Foscolo può 
	essere definito come un neoclassico-romantico perché nella sua opera sono 
	evidenti temi appartenenti a entrambe le correnti. Il concetto della morte 
	che traspare dalle sue opere è tipico del romanticismo. Il neoclassico aveva 
	portato a una riscoperta del mondo antico, a seguito di questi avvenimenti i 
	letterati e i poeti sono portati a riflettere sulla caducità delle cose e 
	sul passare del tempo. Essi si interrogano e meditano sul senso della vita e 
	sulla morte. Con il romanticismo comincia quindi ad avere importanza l'io 
	dell'individuo che vede la realtà a modo suo e ed esprime le proprie 
	sensazioni. La morte e il suo rapporto con la vita sono dei temi centrali 
	della corrente del romanticismo. 
	 
	Secondo Foscolo la morte è la 
	liberazione da tutti i mali; nel suo pensiero 
	è assente la dimensione trascendente, non vi è, infatti, alcuna consolazione 
	religiosa o speranza nell'al di là. La concezione della morte di Foscolo 
	traspare dal romanzo epistolare "Ultime lettere di Jacopo Ortis", storia di 
	un giovane patriota che dopo aver visto svanire tutti i propri sogni, spinto 
	dalla disperazione amorosa e politica si suicida. Il protagonista rispecchia 
	l'autore, entrambi sono stati vittime della delusione politica e amorosa.
	 
	"Veggo la meta: ho già tutto fermo da gran tempo nel cuore- il modo, il 
	luogo- né il giorno è lontano. 
	Cos'è la vita per me? Il tempo mi divorò i momenti felici: io non la conosco 
	se non nel sentimento del dolore: ed or anche l'illusione mi abbandona- 
	medito sul passato; m'affiso sui dì che verranno; e non veggo che nulla. 
	Questi anni che appena giungono a segnare la mia giovinezza, come passarono 
	lenti tra i timori, le speranze, i desiderj, gl'inganni, la noja! e s'io 
	cerco la eredità che mi hanno lasciato, non mi trovo che la rimembranza di 
	pochi piaceri che non sono più, e un mare di sciagure che atterreno il mio 
	coraggio, perché me ne fanno paventar di peggiori. Che se nella vita è il 
	dolore, in che più sperare? Nel nulla; o in un'altra vita diversa sempre da 
	questa.--- 
	Ho dunque deliberato non odio disperatamente me stesso; non odio i viventi. 
	Cerco da molto tempo la pace e la ragione mi addita sempre la tomba. Quante 
	volte sommerso nella meditazione delle mie sventure io cominciava a 
	disperare di me! L'idea della morte dileguava la mia tristezza, ed io 
	sorrideva per la speranza di non vivere più- Sono tranquillo, tranquillo 
	imperturbabilmente. Le illusioni sono svanite; i desiderj son morti: le 
	speranze e i timori mi hanno lasciato libero l'intelletto. Non più mille 
	fantasmi ora giocondi ora tristi confondono e traviano la mia immaginazione: 
	non più vani argomenti adulano la mia ragione; tutto è calma- Pentimenti sul 
	passato, noja del presente, e timor del futuro; ecco la vita. La sola morte 
	a cui è commesso il sacro cangiamento delle cose, promette pace". 
	[frammento lettera da Rimino 5 marzo] 
	 
	Nelle lettere finali c'è un climax ascendente che porta l'Ortis a una 
	crescente disperazione fino a giungere al suicidio. 
	La situazione politica sembra che ormai non può avere alcun risvolto 
	positivo, Teresa, la donna che ama e per cui continua a vivere, si è appena 
	sposata con Odoardo, suo rivale, lui dice che non vuole amare la moglie di 
	Odoardo. Non sembra esserci altra via di fuga che la morte. 
	Le parole-chiave del suo universo esistenziale "timori", "speranze", "desiderj", 
	"inganni", "noia" e soprattutto "rimembranza" e "illusione", sono tutte 
	sovrastate dall'idea della morte. 
	La morte per Jacopo Ortis è un qualcosa di ben atteso, egli non la teme ma 
	la aspetta con ansia, aspetta il momento in cui potrà lasciare questa vita 
	piena di sofferenze e di dolori. 
	 
	Con il carme "I Sepolcri" la visione della morte cambia, vi è una speranza 
	di vita dopo la morte, non in una dimensione trascendente ma nel ricordo e 
	nel pianto delle persone care. 
	Il carme fu scritto in occasione dell'editto di Saint-Cloud, emanato da 
	Napoleone in Francia nel 1904 ed esteso in Italia nel 1906, quando Foscolo 
	aveva già ultimato la stesura della sua opera, ciò significa che l'autore 
	temeva che tale editto venisse promulgato anche in Italia. Tale editto 
	imponeva di seppellire i morti in cimiteri extraurbani (per motivi igienici) 
	e in fosse comuni e anonime (per rispetto del principio dell'egualitarismo). Esso 
	in realtà riprendeva una disposizione del governo austriaco che, a causa 
	dell'opposizione popolare, aveva avuto breve durata, ma era riuscito a 
	valere sulla sepoltura di Parini, morto nel 1799 e sepolto in una fossa 
	comune. 
	Il carme è dedicato a Ippolito Pindemonte che aveva anche lui iniziato la 
	stesura di un poemetto in 4 libri intitolato "I Cimiteri" che aveva 
	interrotto non appena aveva saputo che anche Foscolo stava lavorando sullo 
	stesso argomento. 
	 
	Secondo Foscolo i sepolcri, inutili ai morti, sono utili ai vivi. Non vi è 
	alcuna vita dopo la morte me il defunto può continuare a vivere nel ricordo 
	delle persone care. Solo per chi lascia eredità d'affetti ha una qualche 
	speranza di continuare a vivere. Per fare ciò è fondamentale che i corpi 
	degli esuli possano ritornare in patria e che la lapide conservi i nomi dei 
	morti. Perciò è disumana la legge che impedisce il culto dei morti e che 
	permette che il corpo di un uomo onorato come Parini possa giacere accanto a 
	quello di un infame [vv.1-90]. 
	Eppure il culto dei morti è stata una delle prime istituzioni che si sono 
	dati gli uomini quando hanno cominciato a vivere in comunità e hanno 
	instaurato delle leggi. Non sempre i sepolcri sono stati motivo di terrore 
	come nelle abitudini dei cristiani moderni che seppelliscono i cadaveri tra 
	le mura delle città e delle chiese, anzi i cimiteri delle civiltà pagane 
	(Greci e Romani), e quelli inglesi, sono situati in giardini, sotto l'ombra 
	degli alberi, ornati di fontane e di fiori; luoghi accoglienti dove è 
	piacevole il dialogo con il defunto [vv.91-150]. 
	Le tombe degli uomini illustri ispirano i vivi a compiere grandi imprese, 
	come quelle della chiesa di Santa Croce che aveva ispirato e confortato 
	Alfieri, e quelle dei Martiri di Maratona che erano state costruite per 
	ricordare la virtù degli eroi greci [vv.151-212]. 
	Anche le tombe vengono 
	consumate dal tempo, così aspetta al poeta il compito di eternizzare le 
	gesta degli eroi. Omero è il Poeta in quanto è riuscito a far continuare a 
	vivere per millenni le gesta degli eroi greci e troiani, grazie a lui Ettore 
	non viene ricordato come eroe sconfitto ma come eroe che ha combattuto ed è 
	morto per salvare la patria [vv.213-295]. 
	 
	CRITICA 
	 
	La prima recensione al carme è comparsa nel 1807, l'anno della sua 
	pubblicazione, sul "Giornale Italiano" opere dell'abate francese Amato 
	Guillon. 
	"Sembraci che sia questo un fine ben brusco in un'opera di sentimento. Si 
	direbbe che un simil soggetto avesse troppo stancato la lira del poeta, per 
	poter avanzare di più. L'andamento del suo poema era già diventato penoso 
	quando la sensibilità non animava più la sua musa; ed essa aveva già cessato 
	di spargere la sua bellezza nei di lui versi, allorché egli dai sepolcri 
	presenti si era trasportato a quelli dei tempi eroici della Grecia. Questa 
	transizione l'ha condotto a dei dettagli d'erudizione; ora l'erudizione 
	inaridisce il sentimento: e quindi ne viene che questa seconda parte della 
	sua elegia, che ha una certa disparità colla prima, interessa molto meno la 
	nostra anima, e conviene molto meno a quella dolce voluttà che essa trova ad 
	intenerirsi sulle ceneri dei nostri simili". 
	Amato Guillon sostiene che i Sepolcri siano un'opera di sentimento, e che il 
	sentimento viene rovinato dai dettagli di erudizione alla fine. La seconda 
	parte, quando Foscolo passa dai sepolcri attuali a quelli dei greci, è 
	secondo il Guillon, peggiore della prima poiché non riesce a interessare il 
	lettore, inoltre essa è completamente diversa dalla prima. 
	 
	Questa critica fece infuriare subito Foscolo che rispose al prete con una 
	lunga "Lettera a Monsieur Guillon su la sua incopetenza a giudicare i poeti 
	italiani". Foscolo dice che le osservazioni coprono di ridicolo il prete, e 
	che il suo poema non è elegiaco ma lirico. Riguardo alla critica della 
	seconda parte dei "Sepolcri" Foscolo scrive:  
	"Recito intero quest'ultimo squarcio dannato da lei come "arido di 
	sentimento", perché a me anzi pare, non "che il soggetto abbia stancato la 
	lira" del poeta, ma che egli abbia fin da principio temperate le forze per 
	valersene pienamente in questo luogo. Per per-suaderci delle sue sentenze su 
	la santità e la gloria dei sepolcri, egli ci presenta un monumento che 
	superò le ingiurie di tanti secoli. Le Troiane che pregano scapigliate sul 
	mausoleo de' primi prìncipi d'Ilo, onde allontanare dalla lor patria e da' 
	loro congiunti le imminenti calamità - la vergine Cassandra che guida i 
	nipoti giova-netti a piangere su le ceneri de' loro antenati - che li 
	consola dell'esilio e della povertà decretata dai fati, profetando che la 
	gloria dei Dardanidi risplenderà sempre in quelle tombe - la preghiera alle 
	palme e a' cipressi piantati su quel sepolcro dalle nuore di Priamo, e 
	cresciuti per le lacrime di tante vedove - la benedizione a chi non 
	troncherà quelle piante sotto l'ombra delle quali Omero, cieco e mendìco, 
	andrà un giorno vagando per penetrar negli avelli ed interrogare gli spettri 
	de' re troiani su la caduta d'Ilo onde celebrar le vittorie de' suoi 
	concittadini - gli spettri che con pietoso furore si dolgono che la lor 
	patria sia due volte risorta dalle prime rovine per far più splendida la 
	vendetta de' Greci, e la gloria della schiatta di Peleo alla quale era 
	riservato l'ultimo eccidio di Troia - Omero che, mentre tramanda i fasti de' 
	vincitori, placa pietosamente col suo canto anche l'ombre infelici de' vinti 
	- tanti personaggi, tante passioni, tanti atteggiamenti, e tutti raccolti 
	intorno a un solo sepolcro, sembrano a lei senz'anima e senza invenzione? E 
	la fine, la fine sopra tutto, sente di languore? Questo squarcio è un 
	vaticinio di una principessa di sangue troiano, sorella d'Ettore, e 
	sciagurata per le sventure che prevedeva. Non può dissimulare la gloria de' 
	distruttori della sua famiglia, ma ella cerca alcuna consolazione 
	vaticinando per l'infelice valore d'Ettore una gloria più modesta e più 
	santa; non d'un principe conquistatore, ma d'un guerriero caduto difendendo 
	la patria. Nelle ultime parole di Cassandra: "e finché il sole risplenderà 
	sulle sciagure umane", l'autore s'è studiato di ricorre tutti i sentimenti 
	di una vergine profetessa, che si rassegna alla fatale e inevitabile 
	infelicità de' mortali, che la compiange negli altri perché sente tutto il 
	dolore della sua propria, e che, prevedendola perpetua su la terra, la 
	assegna per termine alla fama del più nobile e del men fortunato di tutti 
	gli eroi. Ove l'autore avesse mirato al "patetico", avrebbe amplificati 
	questi effetti; mirava invece al "sublime", e li ha concentrati". 
	 
	Il Foscolo così concludeva la risposta: "Ma così va il mondo, Monsieur 
	Guillon! la colpa è d'altri, pur troppo, e noi n'abbiam l'onta e la pena: 
	ella parlando di ciò che non intende; io rispondendo a chi non può 
	intendermi".   
	Foscolo con questa risposta vuole far capire che il carme non è 
	sentimentale, ricorda soltanto le virtù degli eroi che hanno combattuto per 
	la loro patria, seppur sono stati sconfitti, il loro ricordo vivrà 
	nell'eternità, se Foscolo avesse voluto rendere la lirica sentimentale 
	avrebbe ampliato questi effetti, invece li ha solo concentrati. 
	Foscolo poi in una lettera del 6 maggio 1808, rispondeva a qualcuno che 
	aveva criticato il tono troppo aspro della risposta, così scriveva:  
	"Quello che fu scritto da me non mi fu dettato, credetelo, dall'albagìa di 
	Autore, ma dal sentimento del nome Italiano. Il Guillon, prete - non - prete 
	francese, compilatore della parte letteraria del Giornale Italiano, mordeva 
	spietatamente tutti gli italiani, e s'avventava a occhi ciechi. E' viltà 
	calare la spada su que' cani, ma è pazienza fratesca il lasciarli abbaiare; 
	quel mio libricciuolo fe' uscire donne, ragazzi e chierici dalle case, da' 
	collegi e da' seminari, e lo cacciarono a sassate; da quel giorno in poi 
	lascia in pace gli autori italiani morti e vivi".  
	Diversi furono i giudizi di De Sanctis e Carducci, i maggiori critici 
	letterari dell'Ottocento, espressero giudizi esaltanti. De Sanctis affermò 
	che: "...questo carme è la prima voce lirica della nuova letteratura, 
	l'affermazione della coscienza rifatta, dell'uomo nuovo... Il carme è una 
	storia dell'umanità da un punto di vista nuovo, una storia de' vivi 
	costruita da' morti. Senti una ispirazione vichiana in questo mondo, che 
	dagli oscuri formidabili inizi naturali e ferini la religione de' sepolcri 
	alza a stato umano e civile, educatrice di Grecia e d'Italia; il doppio 
	mondo caro al Foscolo, che unisce in una sola contemplazione Ilio e Santa 
	Croce"; De Sanctis non esalta in egual modo il romanzo "Ultime lettere di 
	Jacopo Ortis" e lo riduce a una ibrida "poesia in prosa", fallimento sia in 
	poesia che come romanzo. Carducci: "[I Sepolcri sono] la sola poesia lirica 
	nel significato pindarico che abbia l'Italia". 
	Dei critici a noi più vicini citiamo solo alcuni giudizi che ci sembrano 
	più interessanti. 
	 
	Momigliano:  
	"I Sepolcri sono la prima data della nostra letteratura patriottica di fondo 
	storico, sono il ritratto ideale del Foscolo, sono - sopra tutto - la 
	consacrazione poetica d'una nobile e triste religione della civiltà e della 
	vita;...sono una breve e immensa sinfonia della vita e della morte";  
	 
	Citanna: 
	"La religione dei Sepolcri... era in fondo la religione della poesia, 
	l'esaltazione della sua stessa opera ideale di poeta"; 
	 
	Ramat: 
	"I Sepolcri sono la divina Commedia del Romanticismo, perché vi si canta il 
	dramma dell'anima che dall'inferno del materialismo meccanicistico, 
	attraverso il purgatorio della nobile illusione, giunge al paradiso della 
	certezza storica; certezza che lo spirito vince la materia, la vita trionfa 
	della morte, anzi la morte si trasfigura in vita". 
	Nel dopoguerra la figura di Foscolo risulta più difficile da avvicinare 
	anche per la complessità del suo linguaggio poetico. 
	 
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